E’ definito ‘fotosintesi clorofilliana’ quel processo chimico attraverso il quale le piante ed altri organismi producono sostanze organiche (per la maggior parte carboidrati) grazie all’azione della luce solare; durante la fotosintesi, avvalendosi dell’azione della clorofilla (pigmento di colore verde presente nelle cellule vegetali), la luce solare, ed anche quella artificiale, riescono a convertire 6 molecole di anidride carbonica e 6 di acqua in una molecola di glucosio (C6H12O6 ), sostanza di fondamentale importanza per la vita della pianta.
Questo processo genera come reazione una sovraproduzione di ossigeno, che le piante stesse provvederanno a liberare nell’atmosfera attraverso gli ‘stomi’, piccoli forellini situati generalmente sulla facciata inferiore delle foglia che hanno la funzione di regolare gli scambi gassosi con l’ambiente.
Ancora oggi non si è riuscito a stabilire con certezza quali fossero stati nella storia i primi organismi viventi in grado di effettuare il processo di fotosintesi, ma alcune teorìe ipotizzano la loro esistenza già 3 o 4 miliardi di anni fa.
Normalmente si suole suddividere il processo chimico di ‘fotosintesi clorofilliana’ in due fasi fondamentali: la fase luminosa, dipendente dalla luce, e la fase di fissazione del Carbonio, nella quale rientra anche il cosiddetto ‘Ciclo di Calvin’ che vedremo in seguito.
Nella prima fase tutto si svolge all’interno dei ‘cloroplasti’, piccolissimi organuli presenti nelle cellule vegetali; l’energia luminosa viene intrappolata dai pigmenti di clorofilla e convertita in energia chimica, rilasciando in seguito a fotòlisi acqua ed ossigeno, che costituiranno il ‘gradiente protonico’ della pianta.
Nella fase di ‘fissazione del Carbonio’ invece (conosciuta anche come ‘fase al buio’), le molecole di anidride carbonica vengono assorbite e ridotte dai composti organici; uno di essi, il ‘ribulosio biofosfato’, viene trasformato più volte durante il corso di tutta la reazione fino a ritornare esattamente al suo stato iniziale, completando in questo modo quello che è conosciuto come ‘ciclo di Calvin’.
Nelle foglie, principalmente sulla loro facciata inferiore ed in prossimità del ‘picciolo’ (il loro piccolo gambo), sono presenti gli ‘stomi’ quei piccoli forellini di cui accennavamo prima; queste microfessure sono in grado di aprirsi e chiudersi, regolando in questo modo lo scambio gassoso della pianta con l’ambiente in cui essa si trova; ossigeno ed anidride carbonica transitano dunque attraverso tali porticine, ed è lo stesso vegetale ad aprire e chiudere il passaggio a seconda della luce che riceve.
Mentre gli esseri umani mantengono invariato il loro modo di respirare sia di giorno che di notte, le piante assumono invece due configurazioni totalmente diverse; di giorno infatti assorbono l’anidride carbonica sprigionando ossigeno (cosa a noi molto ben gradita), mentre di notte, in assenza di sole quindi, si comportano esattamente allo stesso modo degli umani, assorbendo ossigeno e liberando anidride carbonica nell’ambiente.
Già al tramonto, questa incessante attività perde poco a poco forza e rallenta, fino a fermarsi completamente in assenza di luce; in questo modo, in assenza cioè di ogni tipo di reazione chimica dovuta all’energia sprigionata dal sole, gli ‘stomi’ resteranno in un primo momento chiusi, trattenendo quindi l’ossigeno all’interno della pianta, per poi aprirsi e rilasciare in seguito anidride carbonica che verrà dispersa nell’ambiente.
Ovviamente stiamo parlando di condizioni naturali dell’ambiente, come è appunto l’eterna alternanza di giorno e notte, ma dobbiamo anche considerare la possibilità di un ambiente creato apposta per questo, con la presenza di luci artificiali, anche se diverse da quella che emana il sole. In tal caso, la fotosintesi clorofilliana avrà luogo regolarmente anche se con intensità minore, a causa appunto alle diverse fonti di energia alle quali viene sottoposto il vegetale.
Sono noti anche altri tipi di fotosintesi clorofilliana, e riguardano principalmente i battèri; specie tra i ‘procarioti autotrofi’ infatti, si verificano alcuni tipi di fotosintesi in cui però l’idrogeno non proviene più dalla scissione di una molecola d’acqua mediante fotòlisi, ma dall’’acido solfidrico’ (detto anche solfuro di idrogeno o idrogeno solforato), che durante le fasi della fotosintesi viene ‘ossidato’ e ridotto a zolfo.
Questo ‘ciclo ossidativo’ di respirazione cellulare fa si che la pianta di notte trattenga per sè le molecole di CO2, destinate ad essere ‘fissate’ al suo interno sotto forma di ‘lignina’ e ‘cellulosa’, due importantissimi composti polisaccaridi di cui ha assoluto bisogno per vivere e crescere sana.